top of page

DA TESTI ORIGINALI SCRITTI DA BABBO

GLI ANNI 1928 -1930

Erano gli anni 1928-30.
L’Amministrazione Comunale era retta dal dott. Fioravante Flacco.
Giuliano Teatino ebbe, fin
almente, un medico condotto: il dott. Benedetto Russo , siciliano.
Qualche volta, di sera, le Autorità del Paese si riunivano in casa del parroco don Gennaro Bonetti,
mio primo insegnante di latino, del quale ero assiduo chierichetto. Quando anch’io bussavo alla sua porta, venivo sempre accolto con un ampio sorriso. Mi sedevo, buono buono, in un cantuccio ed ascoltavo la radio: l’unica del Paese. Ma, spesso, m’incantavo nel sentire raccontare dal Medico – col tipico fiorito linguaggio siciliano – le emozioni vissute durante le battute di caccia che faceva con un suo amico di Canosa Sannita: battute sempre cariche di imprevisti e di avventure. Ogni racconto, alla fine, si concludeva sempre con fragorose risate generali che ancora mi par di riudire.
   Per queste tre persone ho avuto sempre un rispetto reverenziale ed ora che non ci sono più ricordo, e ricorderò sempre, la loro onestà, la loro bontà, la loro affabilità e, soprattutto, la loro grande umanità.
In quel periodo prese servizio nel nostro Comune anche un’ostetrica:
la signorina Ludmila Toniolo che esercitò per tanti anni la sua professione con competenza e discrezione.
   Ma, l’avvenimento più importante fu la costruzione dell’acquedotto.
Quand’ero piccolo, in casa di una mia zia - che risiedeva ad Ort
ona – mi ero fermamente rifiutato di bere l’acqua che “usciva dal muro”! E adesso mi si offriva l’occasione di appurare come funzionava tanta…magia: osservai gli operai e capii. Non persi tempo e, con altri ragazzi, nel giardino della mia casa, con tubi fatti con canne bucate col ferro rovente e saldate tra di loro con la cera delle api, costruimmo il nostro piccolo… acquedotto!
   Fu in quel periodo che, finalmente, dopo quasi novant’anni, qualcuno incominciò ad interessarsi anche della frana. I disastrati non avevano ricevuto nulla: né durante il cataclisma, né dopo. Ferdinando 2° - quando venne in Abruzzo nel 1847 – stanziò la somma di 3000 ducati per la ricostruzione della chiesa, ma, di essa, solo la metà, in diverse rate e a lunghi intervalli, fu concessa di fatto. Si seppe solo che il Decreto era stato arbitrariamente radiato nel 1860.
Il 19/12/1930, sulla “Gazzetta Ufficiale”, n°294, venne pubblicato il Decreto del 6 novembre 1930, n°1614, mediante il quale Giuliano Teatino era stato cancellato dall'elenco dei Paesi da “consolidare con muraglione”, come era stato fatto per Ari ed altri Paesi, ed era stato inserito nell’elenco di quei Paesi da trasferire altrove. Il Podestà, dott. Fioravante Flacco, non perse tempo e pensò di spostarlo accanto alla nuova chiesa che il popolo, con immensi sacrifici, aveva ultimata nel luogo dove ora c’è il “campo da tennis”. 
Ma la Commissione del Genio Civile negò il benestare perché il terreno, verso oriente, non era idoneo in quanto già toccato dalla frana del 1843.
Allora venne scelta l’area del Tratturo, all’incrocio della strada provinciale Giuliano-Filetto.
   Dopo aver ottenute le necessarie autorizzazioni per la concessione dell’area demaniale e risolta la questione della riduzione a 6 metri del tratto da lasciare per il passaggio degli armenti, l’Intendenza di Finanza di Chieti, con nota n°22783 del 28/12/1932, comunicava che l’Ufficio Demaniale autorizzava la prosecuzione dei lavori. Quindi, possiamo dire che, detti lavori, iniziarono nel 1932.
In che cosa consistevano?
Ricordo che, a quel tempo, in quell’area vi si andava per giocare a pallone e che per accedervi bisognava arrampicarsi – dalla sede stradale - per una scarpata alta oltre due metri. Allora, si dovette procedere allo spianamento. Fu una vera manna per gli operai disoccupati del Paese: artigiani, contadini, manovali, tutti armati di picconi, di pale e carriole, trasportavano la terra che scavavano nella vallata dove ora c’è la “Cantina Sociale”.
In seguito vennero eseguite le opere stradali, le fogne ed i marciapiedi. A quel punto si doveva pensare alle abitazioni.
Il Podestà riunì tutti i capifamiglia del “Vecchio Centro” per spiegare loro le modalità per la ricostruzione, ma ben presto sorsero delle difficoltà: non si accettava, soprattutto, la norma che stabiliva il numero dei vani per i quali si godeva della sovvenzione statale. Detti vani, infatti, non erano in proporzione a quelli che già si possedeva, ma in rapporto al numero dei componenti il nucleo familiare.
   Intanto la vita diventava ogni giorno più difficile: in alcune famiglie non c’erano nemmeno i soldi per comperare il pane!… Per questo, quando venne annunciata la “Campagna d’Etiopia”, molti furono contenti: un legionario percepiva 5 lire al giorno oltre il sussidio assegnato alla famiglia.
Molti partirono come “volontari”.
Anch’io – che avevo solamente sedici anni – m’illudevo di potervi partecipare come “avanguardista porta ordini”, magari alle dipendenze del nostro Podestà che rivestiva – mi sembra – il grado di “Seniore della Milizia” e che aveva prontamente risposto  alla chiamata del Partito : non certo per denaro. 
   E fu così che il discorso sullo spostamento del Paese fu sospeso e non fu più ripreso perché, dopo la “Campagna d’Etiopia” che si era conclusa vittoriosamente, scoppiò la “2° Guerra Mondiale” . 


                                Francesco Pronio

Gli anni 1928-1930

Forza Ciccillo

Lettera ad un emigrante

LETTERA  AD  UN  EMIGRANTE

   Questa lettera è indirizzata proprio a te, emigrante lontano, che hai lasciato la terra d ‘Abruzzo da tanti anni e non hai potuto o, forse, non hai voluto farvi ritorno perché preso da mille impegni che la vita ogni giorno propone. L’affido al Settimanale dell ’ Arcidiocesi di Chieti-Vasto “AMICO DEL POPOLO” che ricevo a Roma, ove risiedo da quarant’anni, proveniente da un piccolo Paese abruzzese e, pertanto, mi considero “emigrante” anch’io.
   Leggo volentieri il giornale, che esce ora in una nuova e bella veste editoriale, perché, almeno col pensiero, mi sembra di tornare a “casa” e di rivedere i luoghi della mia fanciullezza.  Sono certo che anche tu lo leggi con gioia per essere, così, partecipe della vita della tua Terra d’origine e di essere presente, col cuore e con la mente, agli avvenimenti che, come ricorderai, coinvolgono sempre ogni concittadino. Ho scelto questo periodo estivo in cui tutti sentono più acuta la nostalgia del Paese natio per ritrovarsi fra gente amica, per rivivere usanze e tradizioni, per partecipare ai riti religiosi e civili con autentica fede e coscienza, perché, ora, ognuno di noi ha imparato, ha ben capito quello che il rito stesso rappresenta e ci vuol dire.  E questo tog
lie lo spazio ad ogni antica forma di quello che ora sappiamo essere “fanatismo”.
   Dimmi la verità: non senti anche tu l’impellente richiamo della tua Terra, il forte desiderio di rivedere il tuo primo “nido”, anche se ora ti trovi bene nel Paese che ti ospita ed hai tutto quello che non avevi prima ?
   Ti voglio confidare una cosa: alcuni anni dopo il secondo conflitto mondiale mi sono allontanato dal Paese, semidistrutto prima da una frana secolare e dalla guerra poi, per migliorare la mia posizione e per dare ai figli “tutto ciò che non ho avuto io”.
   Per vent’anni ne sono stato lontano perché credevo di non avere più interessi che mi legassero ad esso: i Genitori scomparsi, i fratelli sistemati altrove, i vecchi amici sparsi qua e là per il mondo e, non ultimo, l’incertezza del futuro. Inoltre, le esigenze familiari mi tenevano sempre serenamente occupato .  Però, più passava il tempo e più la nostalgia si faceva strada nella mia mente : si faceva ogni giorno più pungente e mi accorgevo che non era quella la vita che avevo veramente sognato perché il cuore era rimasto fra le cose che mi avevano visto nascere e crescere.
Sono corso, allora, ai ripari: senza pensarci due volte, sono salito in macchina per tornare a “casa”, per riprendermi il mio passato, per riscoprire la bellezza della mia Terra.
Ricordo che, man mano che mi avvicinavo al “mio “ Paese e sentivo nell’aria risuonare il “caro” dialetto “mio”, l’ansia cresceva e, preso da una frenesia incontenibile, premevo di più il piede sull’acceleratore.
   Nulla sfuggiva alla mia attenzione… Di ogni casa e di ogni campo ricordavo il nome dei vecchi proprietari, anche se tutto era cambiato in meglio: strade asfaltate, abitazioni moderne, villini civettuoli grandi negozi e, soprattutto, il “nuovo” Paese in costruzione.
Poi, sul colle, quasi all’improvviso, apparve la “mia” bianca casetta dalle verdi persiane sbiadite dal tempo… E un nodo mi serrò la gola!…
   Infine, l’arrivo nella piazzetta affollata: gli abbracci dei conoscenti, lo stupore dei giovani, il profumo che riempiva l’aria nell’incipiente sera e… e le mille domande a non finire!…
   Mi sentivo felice come un bambino: avevo tanta voglia di parlare, di sapere, di vedere e rivedere… Che sonno tranquillo quella notte nella vecchia casa abbandonata, mentre il vento, a tratti, fischiava tra le fessure delle finestre sconnesse.
All’alba balzai dal letto per ammirare il panorama: da un lato la Maiella illuminata da primo chiarore del sole nascente e dall’altro un immenso letto di pampini verdeggianti che si stendeva a perdita d’occhio fino al mare lontano: azzurrissimo!…
Mi ritrovai con gli occhi umidi e un intimo benessere: indicibile !…
   Ecco, questo è successo a me tanti anni fa e vog
lio sperare che, quanto prima, succeda anche a te, caro emigrante lontano.
Torna, torna… Sia pure per breve tempo… Tutto il Paese ti aspetta!


                            Francesco Pronio

Documento originale stampato da Babbo

Breve e travagliata storia di Giuliano Teatino - Dal periodo feudale al primo novecento

Vicende belliche

La frana

ULTIMO MESSAGGIO DI BABBO

E' con una certa emozione che mi accingo a raccontarvi questo episodio, perche' fa capire come era fatto babbo e come fosse puro e nobile l'amore che aveva per la famiglia.

Un giorno, parecchi mesi dopo la sua improvvisa scomparsa, era Natale, stavamo apparecchiando la tavolo ed uno di noi, mamma, nel prendere i piatti natalizi, trovo' in mezzo ad essi ben piegato un bigliettino scritto di suo pugno, con le seguenti parole:

"Ho combattuto la mia battaglia,

ho terminato la mia corsa,

ho avuto piu' di quello che pesavo e meritavo.

Il resto e' nelle mani di Dio".

Immaginate la nostra emozione perche' lui aveva ben calcolato che se a prendere i piatti della festa non fosse stato lui (era un compito che svolgeva sempre lui) allora voleva dire che non c'era piu' e qualcun altro lo avrebbe trovato! Riflette sulla bellezza di un gesto cosi' grande, ma fatto con la umilta' e la silenziosita' tipica di tutta la sua vita. 

Grazie babbo per tutto quello che hai fatto e per quei valori di onesta' e bonta' che ci hai saputo trasmettere con il tuo esempio.

Di seguito ho voluto riportare l'immagine del suo scritto autografo che abbiamo stampato sul reto della foto che abbiamo messo nella Cappella a Giuliano..

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bigliettino Babbo
Foto di Babbo
bottom of page